LA COMO ANTICA UN TESORO SENZA FINE

Da nuovi scavi nei dintorni dell’ex Cressoni, dove furono rinvenute le monete, sono emersi i resti di una “domus” romana compreso un notevole mosaico.

La Rivista Archeologica Comense festeggia il 150° - esce infatti ininterrottamente dal 1872 - con un nuovo, corposo, volume biennale, corrispondente ai numeri 203-204. Vi hanno collaborato una ventina di autori, con articoli dei più svariati argomenti, ma sempre inerenti al nostro territorio.
Si riferisce all’età del Ferro il contributo di Mimosa Ravaglia, che finalmente pubblica nella loro interezza i materiali della necropoli di Moncucco, Cardano e Villa Nessi. Purtroppo, furono raccolti alla fine dell’800 durante i lavori agricoli, quindi solo in rari casi è stato possibile ricostruire gli originari corredi tombali; il lavoro minuzioso di schedatura, disegno e studio dei numerosissimi pezzi (fibule, bracciali, pendagli, punte di lancia, coltelli, olle, ecc.) ha consentito di affermare che la zona di Monte Olimpino fu frequentata per molti secoli, dall’età del Bronzo alla fine dell’Impero Romano, anche se con diverse intensità. Questa persistenza fa supporre che esistesse una via di transito, ai margini della quale si disposero le tombe.
Tre giovani archeologi hanno offerto il loro contributo di studi: Agnese Lojacono e Jacopo Francesco Tulipano si sono occupati di alcuni vasi conservati nel nostro Museo: un cup-skyphos, e due buccheri. Sono oggetti provenienti da collezione, per cui privi di ogni dato che aiuti a contestualizzarli, fatto che non ha impedito agli studiosi di dare loro la giusta collocazione cronologica e geografica. Il primo è una grande coppa con manici orizzontali in stile di Gnathia (cittadina pugliese); da datarsi tra 320 e 280 a.C., di cui sono noti altri quattro esemplari analoghi.

LA FINE DELL’IMPERO
Gli altri vasi sono due manufatti etruschi che, grazie alle caratteristiche tecniche, sono attribuiti alla produzione della zona di Chiusi e al VI secolo a.C. Sono ambedue decorati con la tecnica “a cilindretto” , cioè facendo scorrere un piccolo cilindro intagliato sulla superficie ancora fresca del vaso, di modo che la decorazione restava impressa.
Ennio Cirnigliaro ha analizzato tutti rinvenimenti tardoantici di Como e del Comasco, cercando di ricostruire la situazione fra V e VI secolo d.C., un periodo travagliato, ma fertile di grandi cambiamenti. Delle città è analizzato lo sviluppo topografico, proprio nell’interessante momento in cui avviene il passaggio dalla città romana a quella postromana e cristiana. Viene anche riscostruito lo sviluppo della viabilità fra Milano e Como, passando in rassegna e raccordando i rinvenimenti archeologici.
La Soprintendenza Archeologica è sempre impegnata nel controllo degli interventi edilizi in città, che quasi “obbligatoriamente” restituiscono dei rinvenimenti, in quanto Como, come è noto, è di fondazione romana e si è sviluppata per tutta la sua vita sul medesimo sedime, cosicché scendere al di sotto del livello attuale significa intercettare le stratigrafie precedenti. E una recente indagine non ha tradito le aspettative, anche perché è avvenuta in via Diaz, a poca distanza dal luogo in cui fu portato alla luce il famoso tesoretto di 1000 monete d’oro. Nella Contrada dei tre Monasteri erano ubicate le comunità religiose di Sant’Anna (dove poi fu realizzato il teatro Cressoni) di Sant’Eufemia e di San Colombano (dove si trovava l’Intendenza di Finanza). Quest’ultimo era noto anche per la sua denominazione “in balneo”, che indicava la presenza di “bagni” cioè di terme romane, oltre che per dei rinvenimenti casuali e lasciava sospettare la presenza di strutture di pregio. Già anni fa era stato indagato (scavi Stefania Jorio) ed erano emerse tracce di strutture tardoantiche, forse un edificio religioso; in quell’occasione, però, non si era scesi in profondità e gli strati romani erano stati appena toccati.

IL REPERTO PIÙ PREZIOSO
Più profondo l’intervento del 2020 di Barbara Grassi che ha consentito di individuare sette ambienti di una “domus” romana, per una superficie 100m2 circa. Di grande rilievo l’ambiente denominato “B” durante lo scavo, poiché aveva un pavimento con mosaico, le pareti affrescate, e un soffitto intonacato e dipinto steso su un incannucciato. Questa tecnica antica è stata in uso per molti secoli ed è ancora impiegata nel meridione dell’Italia; consiste nell’unire dei fasci di canne con una corda, fissarli al soffitto, e ricoprire d’intonaco. In questo modo si abbassavano i soffitti con una struttura leggera, creando una sorta di isolamento. Ma il ritrovamento più importante è lo splendido mosaico (a cui è dedicata la copertina elaborata da Fabio Cani), un raffinatissimo “tappeto” a motivi geometrici, che gioca sui colori nero, bianco e rosso. Solitamente i pavimenti musivi delle ville romane del Lario sono bicromi (bianchi e neri), realizzati con calcare bianco o marmo di Musso, e il nero di Varenna, perciò questo rinvenimento offre un nuovo esempio che arricchisce la tipologia conosciuta.
L’équipe di scavo (guidata da Emiliano Garatti della Sap sotto la direzione dell’ispettrice) è stata affiancata da una serie di esperti che hanno analizzato i resti organici (Laboratorio di Archeobiologia dei Muse Civici di Como), gli intonaci (Carla Pagani), le malte ( Marcello Spampinato) e la restauratrice della Soprintendenza Alessia Marcheschi, che ha consolidato il manufatto e fornito un parere tecnico, prima dell’interramento.
Una serie di studi riguarda invece il nostro patrimonio medievale. La chiesa di San Giacomo è un edifico cittadino di grande importanza, le cui vicende architettoniche travagliate (essendo fatiscenti, furono abbattute le prime campate nel XVI secolo) l’hanno ridotto alle dimensioni attuali. Nel 2016 vennero effettuate delle indagini archeologiche, purtroppo molto parziali, che confluirono nella Rivista Archeologica del 2018 e posero numerose questioni. Maria Letizia Casati torna sull’argomento, in particolare sui rapporti con il vicino Broletto, e sul problema della chiesa nella Cittadella Viscontea. Infatti, l’occupazione dei Visconti creò in città una fortificazione comprendente anche la chiesa di San Giacomo, sebbene continuasse ad essere aperta la pubblico. In sintesi, si garantì ai fedeli l’accesso all’edificio religioso, verosimilmente dal lato meridionale (perché l’ingresso principale fu murato, come hanno rilevato gli scavi), mentre la “loggia” della chiesa divenne una specie di corridoio che consentiva ai soldati di passare dal cortile del Pretorio alla zona più settentrionale della cittadella. L’autrice fa nuove proposte sul tracciato della Cittadella, ma soprattutto, grazie alle stratigrafie emerse in alcuni saggi (Duomo, Broletto), propone delle correlazioni tra gli edifici della piazza. I futuri lavori programmati in San Giacomo consentiranno altri interventi archeologici, che speriamo aggiungano qualche nuovo tassello alle nostre conoscenze.

INDAGINI SUL MEDIOEVO
Infine, ancora due giovani studiosi hanno indagato argomenti specialistici di epoca medievale.
Francesca Melilli dedica un accurato studio a dei manufatti spesso trascurati, facendo una ricognizione delle acquasantiere romaniche presenti nel territorio lariano. Degli otto esemplari analizzati l’autrice fa un’analisi iconografica, tipologica e stilistica, riuscendo a trovare sia relazioni tra loro, sia rapporti con la produzione romanica: ad esempio per due conche, decorate da una raffinata corolla di foglie, si trovano confronti con decorazioni di Civate e Zurigo. Emerge che il medesimo linguaggio espansivo era condiviso in una zona che si estende ben al là del territorio lariano, in cui Como aveva un ruolo centrale.
Negli ultimi anni del XIV secolo prende avvio il rinnovamento del duomo di Como, nel quale si avvicendarono numerose maestranze di altro livello come Tommaso Rodari, Bernardino Luini, Gaudenzio Ferrari, il Morazzone, per citare i nomi più noti. Mirko Moizi si è dedicato a una personalità di rilievo, di cui la critica si è occupata in passato: Amuzio da Lurago. Il nome dell’artista compare per la prima volta nell’agosto del 1452 nei libri contabili, dove risulta percepire inizialmente un salario elevato, ed occuparsi di più mansioni. Lo studioso “fa ordine” nelle opere a lui attribuite e propone un corpus delle sue realizzazioni, stilano le caratteristiche di questo raffinato scultore tardogotico, che cesella dettagli e ricami floreali, senza far perdere alle figure una robusta fisicità. Tra le sue realizzazioni ricordiamo Adamo ed Eva, e una figura femminile della facciata del duomo.

La Provincia 6 febbraio 2022

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