MONETE ROMANE, LITE SULLA RICOMPENSA. I PROPRIETARI DELL'AREA: "DATECI LE CARTE"

Via Diaz. L'immobiliare del Teatro Cressoni insiste per avere la catalogazione del "Tesoro". Obiettivo: svolgere una priva valutazione sul valore dei reperti. In ballo ci sono parecchi soldi. 

A quasi 2 anni dal ritrovamento delle celeberrime monete nel sottosuolo dell'ex teatro Cressoni, l'idillio tra gli uffici preposti alla tutela dei Beni archeologici e i proprietari dell'area di scavo è già un ricordo. Da qualche tempo a questa parte, la Soprintendenza mostra a quanto pare il suo volto più burocratico-e non è un bel vedere-con la conseguenza di mettere a rischio un po' tutta quell'operazione che, nel libro dei sogni, dovrebbe prima o poi concludersi con l'allestimento di uno spazio museale per ospitare ed esporre il tesoro, ovviamente in città.

I continui rimballi

Qual è il problema? Da mesi, per dirla con l'imprenditore Saba Dell'Oca, amministratore unico della società "Officine Immobiliari", la Soprintendenza accamperebbe una sfilza così di scuse ( dalla mancanza di personale alla chiusura degli uffici) pur di non trasmettere una serie di dati essenziali e già disponibili sulle singole monete, dati che dovrebbero consentire all'impresa di avviare con consulenti propri una stima autonoma del loro valore, al quale sarà poi proporzionato il premio che il codeice dei beni culturali ricopnosce al proprietario dell'area su cui sia avvenuto il ritrovamento. Non si tratta di pochi soldi, se è vero, per esempio, che già soltanto le monete riconducibili all'imperatore Olibrio (oggetto della pubblicazione di un articolo curato dalla stessa Soprintendenza sulla rivista luganese "Numismatica e antichità classiche") sono una rarità assoluta, da far sobbalzare i più quotati numismatici del pianeta. Tanto più, dice ancora Dell'Oca, "che la nostra parte l'abbiamo fatta", nè gli si potrà dare torto..

Dal giorno del ritrovamento (settembre 2018), "Officine Immobiliari" ha speso 480 mila euro, una somma che comprende sì alcune varianti al progetto di realizzazione dell'edificio residenziale sulle ceneri del Cressoni ma che assorbe anche, in maniera preponderante e a fondo perduto, l'assistenza fornita agli scavi della Soprintendenza (297 mila euro) e il finanziamento, per altri 37 mila, di una serie di studi effettuati dalle Università di Milano e Padova, le quali diversamente non avrebbero potuto farsi carico di nulla per mancanza di risorse. Sullo sfondo di questo continuo posticipare sembra delinearsi quella che l'avvocato Sergio Lazzarini - professore di diritto romano all'Insubria nonchè docente di Legislazione dei beni culturali alla scuola di specializzazione in archeologia della Statale - definisce "una tendenza difficile da sopire, che induce troppo spesso la burocrazia a tentare comunque di differire, se non addirittura a negare la corresponsione del premio. Sono noti casi clamorosi che richiedono l'intervento del giudice, come quello di un manufatto d'oro con iscrizione su lamina "rivelatosi reperto di elevatissima rarità e finezza di fattura", oggi al Museo nazionale di Cividale del Friuli, per il quale il Ministero alcuni anni fa cercò vanamente di negare il premio con il pretesto che la comunicazione del ritrovamento non fosse stata fatta personalmente al soprintendente, ma ad un ispettore onorario della soprintendenza".

In caso dell'imperatore Antemio

La questione della valutazione non è secondaria, nè scontata. Una citazione la merita il caso di alcuni pezzi riconducibili all'imperatore Antemio, rinvenuti in tempi meno recenti: a seconda dello stato di conservazione e di altre variabili (una su tutte la sede della zecca), due "solidi" analoghi furono valutati l'uno 800, l'altro 14 mila euro. A spanne parrebbe che 800 euro sia la valutazione minima per singolo pezzo. Minima. E le monete del Cressoni, lo ricordiamo, sono mille.

La Provincia 27 giugno 2020

error: