IL TESORO É LA STORIA DIETRO LE MONETE
In un libro l’indagine sui mille “solidi” d’oro rinvenuti in via Diaz nel 2018. Ci raccontano un pezzo di storia della fine dell’Impero d’Occidente e furono forse nascosti da un funzionario che li usava per pagare le truppe.
In realtà si potrebbe parlare di due tesori.
Uno è quello, ormai diventato notissimo, di mille monete ed altri oggetti d’oro, che ha fatto balzare Como alla ribalta dell’attenzione europea e non solo; ma ha fatto dimenticare l’altro, di valore inestimabile. Inestimabile nel vero senso della parola, perché non può essere quantificato e monetizzato. Si tratta della mole di dati che accompagnano il tesoro, che costituiscono uno rarità assoluta. Le cronache riferiscono con frequenza di rinvenimenti di migliaia di monete, venute alla luce in modo del tutto casuale, durate lavori agricoli o edili, oppure scoperte con metaldetector o altri strumenti da improvvisati “archeologi”, impegnati in una “caccia al tesoro” di infantile memoria, che qualche volta, appunto, raggiunge lo sciagurato obbiettivo. In questi casi i rinvenimenti sono gravemente compromessi, perché viene distrutto il contesto di giacitura, non si è certi dell’integrità del gruzzolo (se qualche moneta è stata sottratta o andata persa) e della sua disposizione.
Quattro fasi
Tutto questo non si è verificato per il tesoro rinvenuto a Como in via Diaz nel 2018, che è stato oggetto dell’attenzione di professionisti, già dalla sua comparsa e per tutto il complesso percorso di studio, che potremmo scaglionare in quattro fasi.
Per quanto riguarda la prima fase, è di assoluto rilievo il fatto che esso fu scavato da archeologi professionisti (sotto la direzione scientifica di Barbara Grassi, funzionaria della Soprintendenza), durante un intervento di indagine previsto per siti sensibili, e questo ha consentito di documentare la scoperta (foto e rilievi) e di raccogliere tutte le informazioni possibili riguardo al contesto: in sintesi era stato celato in epoca tardoantica in un vano di una struttura che si sviluppava attorno ad un’area aperta, che ebbe lunga vita.
La seconda fase riguarda il microscavo avvenuto nel laboratorio di restauro della Soprintendenza a Milano, anche questo condotto da professionisti che hanno numerato ogni moneta, rilevato e fotografato la posizione all’interno del contenitore e nelle “pile”, poiché le monete erano disposte in file contenute in “involucri” di materiali non conservatisi. Sappiamo cioè di quali e quante monete era composta ogni pila, e la datazione.
La terza fase è lo studio: ed anche in questo ambito si è sviscerato ogni possibile aspetto del rinvenimento.
Tutto questo lavoro ha avuto esito nel volume di Grazia Facchinetti, “Il Tesoro di Como. Via Diaz 2018”, (Notiziario del Portale Numismatico dello Stato, n.16), uno studio approfonditissimo di circa 350 pagine, a cui hanno collaborato altri 17 esperti. Ognuno ha messo a disposizione le proprie competenze per ciò che riguarda l’analisi del contenitore, dell’oro, il restauro, cosicché ogni aspetto dei manufatti è stato preso in considerazione, ma oltre agli elementi puramente tecnici è stata ricostruita la “storia” delle monete e di come e quando furono assemblate e nascoste.
Riguardo al quando, possiamo dire che siamo gli ultimi respiri dell’Impero Romano d’Occidente, cioè vicini alla data convenzionalmente stabilita per la sua fine (475 d.C.), in una situazione di precarietà in cui decidono la forza e la spregiudicatezza: militari che diventano imperatori grazie alle truppe e a colpi di mano; gli imperatori assolutamente effimeri che con grande facilità sono scalzati da qualcun altro con altrettanti pochi scrupoli; uccisioni e intrighi, volubili alleanze di pura opportunità, e, lontano ma incombente, l’imperatore d’Oriente che formalmente ha il controllo anche sulla parte occidentale. Personaggio chiave per il nostro racconto è Ricimero, un militare barbaro distintosi per abilità a valore, che “fa carriera”, ma da cui era meglio stare alla larga: in circa dieci anni depone o uccide ben tre imperatori; il Senato, stanco di lui, chiede a Leone, imperatore d’Oriente, di inviare un uomo autorevole: viene scelto come imperatore Antemio, che dà in sposa sua figlia al nostro Ricimero, per rinsaldare l’accordo.
I protagonisti della storia
Ma saltiamo altre vicende ed arriviamo al punto cruciale: suocero e genero entrano in discordia, Ricimero assedia Roma e designa un altro socio, Anicio Olibrio (non riconosciuto dall’imperatore d’Oriente): è la guerra civile.
Abbiamo qui tutti gli attori di questa intricatissima vicenda in cui si colloca il tesoro di Como, e li possiamo vedere effigiati su alcune monete: rigidi e fissi, stereotipati, con in pugno i simboli di un potere ormai polverizzato, retto dalle armi e dal denaro. Sono monete di “parvenze” di imperatori che le leggi del mercato odierno (peraltro autoreferenziali) hanno ipervalutato in base al principio della rarità, sebbene questa rarità non dipenda da fattori di eccellenza, ma semplicemente e in gran parte dal fatto che il loro potere durò brevissimo tempo. Con evidenza, imperatori che hanno lasciato la loro traccia nella storia ed hanno governato a lungo hanno coniato moltissime monete.
Da quel momento i fatti si accavallano in un succedersi tragico e fatale. Ricimero occupa Roma e naturalmente uccide Antemio: siamo all’11 luglio 472. Ma non può godere del potere ottenuto col sangue, perché muore dopo un mese: 18 agosto 472. La situazione è molto grave, ma al potere c’è comunque Anicio Olibrio, pur debolissimo e strumento nelle mani prima di Ricimero e poi del nipote che aveva preso il suo posto; ma in un incredibile avvicendarsi di colpi di scena degni di una trama romanzesca, anche Olibrio muore: 2 novembre 472. Si crea un pericolosissimo vuoto di potere. È proprio in questo frangente che qualcuno si affretta a mettere in salvo il tesoro, perché tutto sarebbe potuto accadere. Prende un vaso di pietra con coperchio, che era stato fabbricato a nord del lago, e con cura vi inserisce le ricchezze.
Ma chi era questo individuo, che ruolo aveva e coma mai disponeva di tali beni? Grazia Facchinetti, come un investigatore che dalle tracce cerca di risalire al “colpevole”, riesce ad abbozzarne il profilo: era probabilmente della “fazione” di Ricimero, poiché durante il suo potere era stato assemblato il tesoro che non doveva cadere nelle mani degli avversari. Definirne il ruolo è molto difficile, ma alcuni indizi possono aiutarci: il tesoro è stato nascosto probabilmente in un edificio pubblico, le monete sono per circa 2/3 coniate a Milano, hanno circolato pochissimo, 3/5 sono state battute in un arco di tempo limitato (dal 455 al “famigerato” 472 d.C.), molte monete sono state battute con lo stesso conio (addirittura un gruppo di 102 di Libio Severo, un imperatore nominato dal “nostro” Ricimero), e monete stampate con lo stesso conio si trovano in pile differenti: un rompicapo, di cui non è fornita la soluzione, un puzzle grandemente incompleto, ma di cui si delineano alcuni elementi.
Le ipotesi
Il ventaglio delle possibilità interpretative è molto ampio e nel libro vengno vagliate con attenzione: ne presentiamo qui solo una che sembra molto suggestiva. Poteva essere un funzionario pubblico che era stato rifornito in buona parte e con regolarità dalla zecca di Milano, aveva avuto un qualche margine di risparmio, e contabilizzava la somma affidata alla sua custodia. Le spese potevano essere le più diverse, ma vogliamo seguire la supposizione che prevedessero lo stipendio delle truppe, dato che Como era sede di una flotta militare, sotto il comando di un prefetto nel contempo governatore della città. La cifra di cui disponeva era cospicua, ma i 1000 solidi d’oro non avrebbe potuto garantire un durevole sostegno: se infatti un soldato percepiva 4 o 5 solidi all’anno, solo 250 mercenari al massimo avrebbero potuto essere ingaggiati.
Manca in conclusione la quarta ed ultima fase del lavoro a cui si è fatto sopra cenno, cioè della pubblicazione e della divulgazione, e il lavoro di Grazia Facchinetti vanta il primato di essere fruibile a chiunque sul portale nazionale di numismastica (oltretutto in tempi record) e, nelle “vetrine virtuali” realizzate grazie alla collaborazione con la Direzione Generale Archeologia del MiC, il catalogo completo di oltre 500 pagine: ogni moneta è perciò visibile e pubblicata così che quanto è patrimonio archeologico nazionale viene restituito come patrimonio scientifico universale, per gli specialisti e la gente comune.
SUL SITO IL LIBRO E ANCHE LE MONETE
“Il Tesoro di Como. Via DIaz 2018”, volume di 350 pagine che corrisponde a un numeto monografico (16/2021) del “Notiziario del Portale Numismatico dello Stato” è a disposizione di tutti sul sito https://www.numismaticadellostato.it.
Lo si può sfogliare online oppure scaricare in formato pdf. Il teto è stato di recente presentato nell’auditorium della biblioteca di Como. Sullo stesso sito, nella sezione “vetrine virtuali”, si possono vedere tutte le monete che compongon l’eccezionale ritrovamento lariano.
Fulvia Butti, autrice dell’articolo, è direttrice della Rac (Rivista archologica comense).
La Provincia 22 maggio 2022